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贺丹:现实的场景

发布时间:2021-03-05

作者:安德烈·罗莫利·巴贝里尼(Andrea Romoli Barberini)

翻译:李飞

绘画是一种心理精神的产物

莱昂纳多·达·芬奇

在古代的欧洲,面对解决艺术从传统主题解脱出来的发展轨迹来看,以提高农民,工人和洗衣工作为作品主角的道路是漫长且充满坎坷的。古代绘画中,经常是以对英雄或圣人的虚拟赞美和修辞所表现出来的“现实”,而为了理解这个“艺术现实”,就需要人们充分的运用自我意识才能进入它的艺术领域。 但是到了1840年左右,各种重新混合的社会价值观的出现,为之后的印象派和这期间出现的大量的其他的“主义”做好了最后的准备。

为了证实这个划时代的转折点,大量乡间的劳动者、一些资产阶级、以及衣衫褴褛的碎石工人首次作为主角出现在了奥诺雷· 杜米埃(Honoré Daumier),居斯塔夫· 库尔贝(Gustave Courbet)和尚-法兰索瓦·米勒(Jean François Millet)的画布和思想中,同时,也正是社会开始意识到由工业革命所触发的这些影响的时候,以及由此引发的新的社会秩序。不久之后,与1848年的伦敦,由卡尔·马克思和弗里德里希·恩格斯撰写的“共产党宣言”出版,此宣言的出版也是对十八年前由欧仁·德拉克罗瓦(Eugène Delacroix)创作的杰作 “自由领导人民”的实现。

在探寻研究写实绘画的远方的先行者和遥远的根源就不能不强调荷兰艺术在此的重要性,尤其需要提及的是艺术家老彼得·勃鲁盖尔(Pieter Bruegel il Vecchio),这位十六世纪中叶的艺术家知道在不缺失一定尖锐讽刺的语境中,如何讲述农民和普罗大众的日常生活。正是从这位伟大的欧洲艺术大师在自己的原始地,创作出了自己人民的日复一日的生活写照,才能让我们试图进入那个也最最具有原始特点的生活,而这一特点,也正可以作为理解贺丹作品的一个参考依据。贺丹,作为一个艺术家已经达到了他的完全的成熟期,在巴黎长期的旅居和学习经验也让他不断去探索和衡量自己与西方文化之间的关系,并且选择绘画作为自己的专业去勾勒出一个民族的轮廓,一个他自己所属的民族——中国,这个以最古老传统和最先进技术进步并存,多样性、非凡性和复杂性也共存于一身的国度。

事实上,当我们研究勃鲁盖尔所留下宝贵经验的同时,也需要一把新的钥匙来重新审视这个经验,因为它的原始性需要被赋予现实意义,也许,在贺丹这位艺术大师的一些比较久远的作品中依然可以寻找到。在这些以赭石为主色调的作品中,松散的叙事脉络,愉快生动的画风,有时又处在白话表达的边界处,使我们可以感觉到某些轶事主义的味道,贺丹以佛兰德斯式(maniera fiamminga)的艺术形式,向我们展示了以千万情景细节所描绘的生活场景。正是这些作品,虽然从某些方面,相对于贺丹之后几年更成熟的作品而言,其构图的复杂性以及表现的客观性有一些距离,但是对于身份,公平,情感的内容元素已经是相当丰富了,并且在他自己很大一部分的作品中,可以发现其独特的温和的讽刺韵味,而这,也恰恰组成了他自己的艺术语料库(corpus)。

作品中一些强置于视觉的观赏特点,尤其是在那些更成熟作品中,空间变得更宽广,有时常常给人某种的无限感,这要得益于贺丹给我们创造的那个凸出的观察点,也是根据由恩斯特·贡布里希(Ernst Gombrich)潜心研究总结出的古老的“等等绘画原则”,使得允许由处在前景的大量的精雕细琢人物逐渐过渡褪色到水平两端。作品中这些令人难以置信的人群集会,会使得观赏者的眼睛迷失在阅读这些大量的人物中,因为千万人的面孔,每个人都有自己独有的面容特征,表情,姿态和服饰。

当观赏者阅读作品中每一个人物的刻画时,自然也就能够理解何丹,正是用每个具体的个体形象去规避一个笼统的人群,因为这就是人民! 也更能澄清贺丹本人对人民的看法 — 是一个由个体,集体,多样性和尊严共存的概念。

“人民(popolo)”这个词在西方世界的某些语言中越来越被废弃,我们更喜欢用更广义,且不具有感情的“人(gente)”。但“人民”是将永远留在一个高而复杂的概念中,因为它预先假定了文化的观念,是人类社会性的结果,也是某种动物性的社会性,例如我们会想到一个勤劳协作的集体:蚂蚁或蜜蜂,每个人都有自己的工作要做,并且在外部侵略的情况下,都有去捍卫他们集体的准备和勇气,以及为集体牺牲所能获得的自身价值。

与最低质量的大规模人群的概念不同,人民对于贺丹而言,是具有某种高尚概念的。在这些作品中,贺丹有时也会毫不犹豫的插入一些极其怪诞的形象,好像是为了表明并不是每一个人都完全统一于这个集体。

事实上,贺丹并不打算用恩索尔(James Enso)在作品基督进入布鲁塞尔(Entrata di Cris-to a Bruxelles)的方式,去揭露人们卑贱的本质,而是通过怪诞这把钥匙来重新精神化每一个独立的个体。与比利时艺术家一样,贺丹对于凸出的观察点和集中的感觉有着明显的偏爱,但是,他想达到的目的可能却是另外一种,是更具社会性而非心理性的,也许是想表达我们的社会并不需要那么冷酷无情。

有时候,在欣赏作品中呈现的这些千万人时,艺术家贺丹似乎想要我们同时伴随着一种对数量,质量,空间,时间,身份和命运的思考。他通过使用微妙的视觉隐喻来做到这一点,而非显而易见表现出来,通过插入一个或多个元素,似乎试图为观赏者创造出一个意想不到的,惊喜的解码效果。因此,我们也就看到了为什么会以一座干旱且巨大的山峰作为人群的神秘背景,同样的,也会看到一架大飞机似乎以它的“翅膀”去保护这群勤劳人民的成长和发展的过程。还有,在作品红苹果中,我们可以在画面前景处看到大量堆积的苹果,似乎发出某种回声音效,使得画面纵深处的许多肖像人物的注意力又返回到了苹果本身。

几乎在所有的这些人群集会中,我们总能很容易的识别出艺术家贺丹本人以文艺复兴时期古代大师的手法所创作出的自画像,至此,我们也可以看出贺丹的目的:是用自画像本身表明他归属于这个人群,也是他文化的根,如同暗示了在像中国这样巨大的国家所拥有的难以置信的多样的、不同的民族。

贺丹作品中不乏现实维度的思考,并远远超出所要表现的保真度,且呈现出复杂的模煳性。当我们观察另外一幅作品现实生活的时候,要把作品当成一个窗口去欣赏,在画面一端显而易见的位置挂着很多红色幕布,从而给欣赏者一种戏剧舞台的观察方式。假如把这样的画面处理仅仅解释为对卡拉瓦乔式的构图方案的一个参考,可能有些过于简单化了,因为正是那道幕布,把画面观赏者现实空间的这边和画面虚构的空间的那边分开了。当我们观赏作品的同时,贺丹同样在画面里放置了一个举起手机给我们拍照的人物,似乎在问我们,假如我们的物理空间,这个我们所占据,消费,消耗并使用的地方(人间喜剧,奥诺雷·德·巴尔扎克),它本身的现实性,就不会是另外一个虚拟,人为的空间吗?有可能我们这边的世界比画面那边世界还要固化和规范。

He Dan: la scena della realtà

di Andrea Romoli Barberini

La pittura è cosa mentale

Leo-nardo da Vinci

Nella vecchia Europa, il percorso affrontato dall’arte per liberarsi dai temi tradizionali ed elevare contadini, operai e lavandaie, con la loro ordinaria quotidianità, a protagonisti di un’opera pittorica è stato lungo e non privo di ostacoli. La “Realtà”, vista e rappresentata senza l’ingombrante, e spesso mendace, retorica dell’eroe e del santo avrebbe fatto, con piena consapevolezza il suo ingresso nell’arte, intorno al 1840, per rimescolarne i valori e preparare il terreno all’impressionismo e agli altri “ismi” che da quest’ultimo scaturiranno.

A sostanziare questa svolta epocale furono i braccianti delle campagne, qualche borghese e gli spaccapietre cenciosi che popolavano, per la prima volta da protagonis-ti, le tele e i pensieri di Honoré Daumier, Gustave Courbet e François Millet proprio quando la società cominciava a prendere coscienza degli effetti innescati dalla Rivoluzione industriale e del conseguente nuovo ordine sociale. Poco più tardi, nel 1848, a Londra, veniva dato alle stampe il Manifesto del Partito Comunista, scritto da Karl Marx e Friedrich Engels, diciotto anni dopo la realizzazione de La libertà guida il popolo, il capolavoro di Eugène Delacroix.

Nel cercare i lontani precursori, le remote radici del Realismo in pittura è stata evidenziata la rilevanza dell’arte olandese, e più in particolare di Pieter Bruegel il Vec-chio, l’artista che, in pieno Cinquecento, seppe raccontare, non senza una buona dose di tagliente ironia, la quotidianità semplice e un po’ goffa di contadini e gente comune. Ed è proprio da qui, da questo grande maestro europeo che ha raccontato la vita di tutti i giorni delle popolazioni dei suoi luoghi d’origine che è possibile partire per ten-tare di entrare nella particolarità originalissima e varia del lavoro di He Dan, un artista giunto alla sua piena maturità che si è misurato con la cultura Occidentale studiando e soggiornando per lungo tempo a Parigi e che ha scelto la pittura come dis-ciplina di elezione per tratteggiare il profilo di un popolo, il popolo cui egli stesso ap-partiene, quello cinese, nella cui varietà e straordinaria complessità convivono oggi le tradizioni più antiche e il progresso tecnologico più avanzato.

È infatti nel nobile solco dell’esperienza tracciata da Bruegel, sebbene rivisitata in una chiave inedita, perché attualizzata con originalità, che possono essere ricondotte alcune opere realizzate dal maestro cinese, forse le più lontane nel tempo. In questi lavori si intravede il gusto per certo aneddotismo dalla vena narrativa sciolta, piacevolmente vivace e talvolta al limite del vernacolare che, nella dominante ocra, si rivela in scene di genere affidate a mille particolari contestualizzanti, alla maniera fi-amminga. Sono opere, queste, per certi versi ancora distanti in termini di complessità compositiva e oggettività della rappresentazione da quelle più mature che He Dan re-alizzerà negli anni seguenti, ma già ricche di quella componente identitaria, fiera, af-fettiva e, a suo modo, bonariamente ironica, che si ritrova in gran parte del suo corpus pittorico.

Caratteristiche, queste, che si impongono allo sguardo, anche e soprattutto nei quadri più maturi in cui gli spazi si fanno più ampi, talvolta suggestivamente sconfinati, grazie a un punto di osservazione rialzato che gli consente di rappresentare moltitudini di figure tratteggiate con grande cura che sfumano dal primo piano verso la linea di orizzonte secondo l’antico “principio dell’eccetera eccetera”, magistralmente indagato da Ernst Gombrich. In questi incredibili assembramenti umani l’occhio dell’osservatore si perde nella lettura delle numerosissime presenze umane, dei mille volti, ognuno con i propri tratti somatici, espressioni, posture, abiti.

È facile leggere nella cura di ciascuna di queste figure l’espediente che He Dan utilizza per chiarire che si tratta di popolo, la sua idea di popolo, un’idea in cui convivono i concetti di individualità, collettività, varietà, dignità.

“Popolo” è un termine sempre più in disuso in certe lingue del mondo occi-dentale, gli si preferisce la più generica e fredda parola “gente”. Ma “popolo” è, e ri-marrà sempre un concetto alto e complesso perché presuppone l’idea di cultura ed è il risultato della socialità dell’essere umano, una socialità per certi versi di natura ani-male, che può ricordare una comunità operosa di formiche o di api, ciascuna con il proprio compito da svolgere e tutte pronte a morire per difendere il proprio gruppo e i propri valori identitari in caso di aggressione esterna.

Popolo è per He Dan qualcosa di nobile, diverso e molto distante dal più basso concetto di massa. Ciononostante non esita, talvolta, ad inserirvi figure al limite del grottesco, quasi a voler dimostrare che non tutti sono uguali per quanto accomunati dall’appartenenza ad un gruppo.

He Dan, infatti, non intende, smascherare la sostanziale bassezza dell’uomo trasfigurando in chiave grottesca ogni individuo, alla maniera di Ensor nella Entrata di Cristo a Bruxelles. In comune con l’artista belga, lui ha certamente una chiara predi-lezione per il punto di osservazione rialzato e il senso della costipazione, ma l’obiettivo sembrerebbe un altro, forse meno spietato, di natura più sociologica che psicologica.

A volte, in questi dipinti dalle mille presenze umane, l’artista sembra volerci ac-compagnare a una riflessione sui concetti di quantità, qualità, spazio, tempo, identità e destino. Lo fa giocando con sottili metafore visive, mai ovvie, inserendo uno o più ele-menti che sembrano cercare e creare un imprevisto, una sorpresa per lo sguardo tutta da decodificare. È così che una montagna arida e monumentale può fare da enigmati-co sfondo ai suoi assembramenti al pari di un grande aereo che quasi sembra proteg-gere con le ali del progresso la crescita e lo sviluppo di un popolo laborioso. Altre volte ci si può imbattere in un grande accumulo di mele in primo piano cui fanno come da eco, nei piani in profondità, le teste di tante persone restituite con attenzioni ritrattis-tiche.

Quasi sempre, ben riconoscibile, in questi assembramenti umani, compare l’artista stesso con un suo autoritratto, alla maniera degli antichi maestri del Rinasci-mento, ma con l’intenzione di affermare con la pittura la sua appartenenza a questa moltitudine nella incredibile varietà e differenza delle etnie che un Paese immenso come la Cina sottintende.

Non mancano opere in cui la dimensione realistica, ben oltre la fedeltà della rap-presentazione, si presenta con una sofisticata ambiguità. Ciò accade quando la finestra del quadro si apre all’osservazione alla maniera di un boccascena teatrale, con tanto di sipario rosso chiuso, ben leggibile, collocato su una delle estremità del campo pitto-rico. Interpretarlo esclusivamente come un probabile riferimento a soluzioni cara-vaggesche potrebbe essere riduttivo perché quel sipario, proprio in quanto tale, divide l’al di qua dall’al di là del quadro, lo spazio della realtà dallo spazio della finzione. In questo modo He Dan, che non a caso si ritrae mentre con il suo smartphone scatta foto verso di noi che guardiamo le sue opere, sembra domandarci se il nostro spazio fisico, il luogo in cui si consuma La Comédie humaine (Honoré de Balzac), con la sua realtà, non sia altrettanto mendace, artefatto, e forse ancora più convenzionale di quello rap-presentato nel quadro.